Israele Di Dio (Italian)

© R. Scott Clark 2003  Tutti i Diritti Riservati

Traduzione Italiana di Andrea Suraci, Ottobre 2008

Introduzione

Nella questione della “fine dei tempi” o delle “ultime cose” (Escatologia) c’è molto di più di quanto diciamo che effettivamente accadrà negli ultimi giorni. Noi diciamo quello che diciamo sull’escatologia sulla base di ciò che pensiamo che Dio stia realizzando nella storia.

Al centro del dibattito c’è la questione della “Israele di Dio” (Gal. 6.16). Ovviamente, questa non è una questione nuova. Durante il ministero terrestre di nostro Signore e dopo la sua risurrezione e prima della sua ascensione, i discepoli gli chiedevano ripetutamente, “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” (At. 1.6).

In realtà, c’era una diffusa nozione rabbinica e popolare che il Messia sarebbe stata una potente figura politico-militare dalla forza e capacità Davidiche — “Davide ha ucciso i suoi diecimila” (1 Sam. 18.7). Giovanni 6.14, 15 riporta,

“Allora la gente, avendo visto il segno che Gesù aveva fatto, disse: «Certamente costui è il profeta, che deve venire nel mondo». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo.”

Il motivo non era, come vogliono alcuni, che non era il momento adatto, ma piuttosto che un regno terreno era contrario ad ogni suo intento. Ancora, verso la fine della sua vita, durante il suo ingresso trionfale, egli non veniva a stabilire il suo regno terreno, ma piuttosto ad adempiere la profezia, “Non temere, o figlia di Sion; ecco, il tuo re viene, cavalcando un puledro d’asina” (Gv. 12.15; Isa. 40.9; Zac. 9.9).

Gesù aveva insegnato ai discepoli e agli altri che egli non era venuto per realizzare un regno terreno come essi si aspettavano, ma per portare la salvezza dal peccato. Alla fine, quando “gli uomini d’Israele” non poterono più tollerare il suo rifiuto di sottomettersi alla loro escatologia, al loro piano della storia, lo crocifissero. La Scrittura dice,

“Similmente, anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani facendosi beffe, dicevano: «Egli ha salvato gli altri e non può salvare se stesso, se è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce e noi crederemo in lui.” (Mat. 27.41-42)

È anche una triste realtà che molti Cristiani concordino con i capi dei sacerdoti e i dottori della legge. Il Dispensazionalismo Classico da lungo tempo sostiene che i Farisei avessero il giusto metodo d’interpretazione della Bibbia, ma che semplicemente giungessero alle conclusioni errate.

È la convinzione Dispensazionalista-Premillenarista che Dio fece una promessa ad Abrahamo (Gen. capp. 15 e 17) in cui gli avrebbe dato un popolo terreno e nazionale, con il risultato che, nella concezione Dispensazionalista, sia sempre stata l’intenzione di Dio di avere un tale popolo e se i Giudei avessero respinto la prima offerta (o se Gesù avesse respinto i loro termini!) allora vi dovrà essere un regno terreno, Giudaico, Palestinese, nel millennio.

Secondo il Dispensazionalismo, Dio era così deciso a creare un tale popolo terreno, nazionale, che questa fu la ragione principale dell’incarnazione, nascita e ministero di Cristo. Se essi avessero accettato la sua offerta di un regno terreno, Gesù non sarebbe morto. In questo schema, la morte salvifica di Gesù è un felice sottoprodotto del piano di Dio per l’Israele nazionale.

È anche un articolo di fede per molti Premillenaristi che la creazione del moderno stato d’Israele in Palestina, nel 1948, sia la conferma provvidenziale della loro affermazione che i Giudei sono il popolo terreno e nazionale di Dio, e che, inoltre, Dio continua ad operare nella nostra storia su due binari paralleli, con un popolo terreno Ebraico ed uno spirituale Cristiano.

Questo modo di procedere, tuttavia, è irto di difficoltà. Primo, questo modo di leggere gli eventi contemporanei è altamente dubbio. Chi di noi conosce con certezza l’esatta intenzione della provvidenza? Se una persona cara ha il cancro, dovremmo speculare su quale peccato l’abbia causato? Il nostro Signore ci avvisò di non tentare di interpretare la provvidenza (Gv. 9). Se non possiamo indovinare nemmeno il significato di provvidenze relativamente piccole, come possiamo interpretare il significato di provvidenze più ampie? Chi dice che dovremmo concentrarci sullo stato israeliano? Forse dovremmo concentrarci sulle sofferenze dei Cristiani Palestinesi che hanno patito grandemente sia per mano degli Ebrei che dei Musulmani, specialmente dalla formazione dell’Israele contemporaneo?

Anche se può sembrare eccitante pensare che Dio stia compiendo qualcosa di spettacolare ai nostri giorni, il timore è che il nostro desiderio di eccitamento non sia migliore del grido di quegli Israeliti che dicevano, “Dacci Barabba.” Potrebbe ben essere che la mania degli ultimi giorni che abbiamo osservato, prima nei tardi anni ’70, poi nuovamente durante la Guerra del Golfo, e nuovamente negli anni recenti, sia in realtà una ricerca di certezze. Proprio come le generazioni precedenti si allontanarono dalla predicazione del Vangelo e dall’amministrazione dei sacramenti in favore dei risvegli, la nostra epoca sembra rivolta alla ricerca di conferme della fede nell’illusione di essere testimoni della fine della storia. Il fatto è che i Cristiani hanno pensato spesso questa stessa cosa, e sono stati in errore.

Ricordate che dopo il Monte della Trasfigurazione (Mat. 17.1), dove Mosè ed Elia apparvero innanzi al loro Signore, i discepoli posero a Gesù domande sul regno Messianico terreno, se Elia dovesse ancora venire. Gesù rispose dicendo:

“Elia veramente deve venire prima e ristabilire ogni cosa. Ma io vi dico che Elia è già venuto ed essi non l’hanno riconosciuto, anzi l’hanno trattato come hanno voluto; così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire da parte loro». Allora i discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni Battista.”

È sempre stata l’intenzione di Gesù di predicare l’avvento del Regno (“…Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’evangelo” Mc. 1.15), di morire per i peccatori, e di governare il suo regno, come sta facendo ora, alla destra del Padre (At. 2.36).

Successivamente, in Mat. 19.27-30, dopo aver ascoltato l’insegnamento di Gesù sulla vera natura del regno, Pietro nuovamente pose la domanda sul regno, “Ecco, noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?” Alla quale Gesù rispose,

“In verità vi dico che nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sederà sul trono della sua gloria, anche voi che mi avete seguito sederete su dodici troni, per giudicare le dodici tribù d’Israele. E chiunque ha lasciato casa, fratelli, sorelle, padre, madre, moglie, figli o campi per amore del mio nome, ne riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi.”

I nostri fratelli Premillenaristi prendono questa come una promessa di un regno Giudaico terreno, ma Gesù intendeva molto diversamente il regno. Le parabole che seguono insegnano precisamente che Dio non sta preparando un regno Giudaico terreno, ma che “ primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi” e che

“Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano dei capi dei sacerdoti e degli scribi, ed essi lo condanneranno a morte. Lo consegneranno poi nelle mani dei gentili perché sia schernito, flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno egli risusciterà.” (Mat. 20.28)

Fu anche pií¹ diretto con la madre di Giacomo e Giovanni, la quale cercava di darsi da fare per i propri figli: «Ordina che questi miei due figli siedano l’uno alla tua destra e l’altro alla sinistra nel tuo regno» (Mat. 20.21). Egli la rimproverí² dicendole che non solo non avrebbe fondato un regno terreno, ma che avrebbe sofferto e sarebbe morto, e che essi avrebbero sofferto e sarebbero morti per lui, perché «il Figlio dell’uomo non í¨ venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mat. 20.28).

Quindi, non possiamo concordare con l’argomento del Dispensazionalista Clarence Larkin, quando interpreta le parole di Gesù,

“Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti adatti, che il Padre ha stabilito di sua propria autorità. Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, in Samaria e fino all’estremità della terra.” (At. 1.7-8).

non come un rimprovero ai discepoli che cercavano un regno terreno, ma solo come un’avvertenza ad aspettare il regno terreno.

Piuttosto, Gesù non venne per costruire un regno Giudaico terreno ora o più tardi, ma la sua intenzione fu sempre e solo di redimere tutto il suo popolo per mezzo della sua morte sulla croce, e di governare le nazioni con verga di ferro fino al suo ritorno nel giudizio.

La tesi che affermo è che il primo proposito di Dio nella storia sia di glorificare sé stesso attraverso la redenzione di un popolo in ogni epoca, in ogni luogo e da tutte le razze, la quale grazia egli ha amministrato fin dalla caduta, nella storia, in una chiesa visibile e istituzionale sotto Adamo, Noè, Abrahamo, Mosè, Davide e ora Cristo.

Quindi, la premessa che l’intento di Dio sia di stabilire un popolo Giudaico, permanente o milleniale, nazionale, è esattamente al contrario. I nostri fratelli Dispensazionalisti confondono ciò che è temporaneo con ciò che è permanente, e ciò che è permanente con ciò che è temporaneo.

È l’insegnamento della Parola di Dio che Gesù sia il vero Israele di Dio, che la sua incarnazione, obbedienza, morte e risurrezione non furono un sottoprodotto della rifiuto d’Israele all’offerta di un regno terreno, ma il compimento del piano eterno di Dio. Questo è ciò che Gesù disse ai discepoli sulla strada di Emmaus. Uno di loro disse, “noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele.” In risposta nostro Signore disse,

“O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano.” (Lu. 24.25-27)

L’Apostolo Paolo sintetizzò questo stesso insegnamento quando disse ai Corinzi che “Poiché tutte le promesse di Dio hanno in lui il «sì» e l’«Amen», alla gloria di Dio per mezzo di noi” (2 Cor. 1.20).

LA DEFINIZIONE DI PATTO

Non possiamo comprendere ciò che Dio sta realizzando nella storia se non comprendiamo uno dei termini più importanti nella Scrittura: patto. Questa è una parola molto frequente nella Bibbia (294 volte). Patto descrive la maniera in cui Dio si relaziona alle creature. È un giuramento reciprocamente vincolante nel quale vi sono stipulazioni, benedizioni per l’obbedienza e maledizioni per la disobbedienza, così come segni e sigilli del giuramento.

Legge e Vangelo: Patti d’Opere e di Grazia

Dio fece il primo patto nella storia umana, un patto d’opere con il primo uomo nel giardino. La benedizione promessa per il rispetto del patto era che Adamo e tutta l’umanità sarebbero entrati nella gloria (“ne mangi… e viva per sempre,” Gen. 3.22); la maledizione minacciata per la violazione del patto (“per certo morrai,” Gen. 2.17). La stipulazione del patto fu che Adamo si sarebbe astenuto dal mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gen. 2.17). I segni del patto erano l’albero della conoscenza del bene e del male e l’albero della vita (Gen. 2.9).

Come sapete, Adamo fallì quella prova, e Paolo dice che “per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rom. 5.12). Così noi tutti ora nasciamo sotto questo patto d’opere.

Il secondo patto nella storia umana fu pure fatto da Dio con nostro padre Adamo. Questo patto, tuttavia, non fu un patto di legge; piuttosto, fu un patto del vangelo. Nel patto di grazia, Dio promise in giuramento un Salvatore venturo (“il seme della donna”) che avrebbe schiacciato la testa del seme del serpente quando questi avrebbe ferito il suo calcagno (Gen. 3.14-16). La benedizione di questo patto è la vita eterna (l’albero della vita) e la maledizione per la violazione del patto rimane la morte. Il Vangelo di questo patto è che vi è un Salvatore che osserverà i termini del patto d’opere e i peccatori ne beneficeranno.

Vi sono tre cose da dire sulle condizioni relative al patto di grazia.

1. Relativamente alla causa della nostra giustificazione, il patto di grazia è incondizionale. Dio non accetta i peccatori per nessuna ragione se non perché Egli imputa loro per grazia la giustizia di Cristo.

2. Relativamente allo strumento della nostra giustificazione, la fede salvifica, essa stessa un dono di Dio (Efe. 2.8-10), è l’unico strumento passivo (ricevente) rivolto a Cristo o condizione del patto. Questo è ciò che i Riformatori Protestanti intendevano con sola fide.

3. Relativamente all’amministrazione del patto di grazia, si può dire che vi siano stipulazioni del patto, ovvero, quei mezzi della grazia con i quali Dio ordinariamente risuscita i peccatori dalla morte alla vita, vale a dire, la predicazione del Santo Vangelo, e quei mezzi della grazia con i quali egli conferma le sue promesse e rinvigorisce la nostra fede: i santi sacramenti. L’obbedienza Cristiana non è né il fondamento né lo strumento della nostra giustizia innanzi a Dio, ma il frutto e la dimostrazione dell’opera di Cristo per e in noi.

Nella storia della salvezza, questo stesso patto del Vangelo che Dio fece con Adamo fu rinnovato con Abrahamo, ma la promessa fu riaffermata, “Io sarò il tuo Dio, e dei tuoi figli.” Il segno di Genesi 15 fu il taglio di animali e la stipulazione rimase la fede. Per questa ragione la Scrittura dice, “Abrahamo credette al Signore, e questo gli fu messo in conto di giustizia” (Gen. 15.6).

In Gen. 17.10-14, la circoncisione divenne il segno dell’iniziazione nel patto di grazia. Il patto e il segno sono così strettamente identificati che il Signore chiama il segno della circoncisione, “Il mio patto.”

Il patto d’opere non svanì semplicemente nella storia della salvezza. Invece, il patto d’opere è ripetuto in tutte le Scritture, ogni volta che la Legge viene letta e che Dio esige la rettitudine perfetta dai peccatori, come ad esempio, “Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle” (Gal. 3.10). Quando Gesù disse al giovane ricco, “Fa’ questo e vivrai” (Luca 10.28), stava ripetendo il patto d’opere.

Similmente, il patto di grazia viene ripetuto in tutta la storia della redenzione, perché ogni volta che Dio dice, “Io sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo” egli sta ripetendo la promessa fatta ad Adamo. Egli ripeté questa promessa dell’evangelo a Noè, ad Abrahamo, ad Isacco, a Giacobbe, a Davide, a Mosè e l’adempì infine in Cristo, e la ripete a noi attraverso gli Apostoli, come in Atti 2.39.

Questi due patti unificano tutta la Scrittura. Tutti gli uomini nascono morti nei peccati e nei falli e tutti coloro che sono salvati sono nel patto di grazia.

Il Vecchio Patto (Mosaico)

Molti credenti nella Bibbia presumono che ogni evento verificatosi nella storia della salvezza prima dell’incarnazione e della morte di Cristo appartengano all’Antico Testamento, e molti di loro presumono che dall’incarnazione in poi, le Scritture del Vecchio Patto non parlino e non si riferiscano ai Cristiani. Difatti, alcuni Dispensazionalisti ritengono addirittura che alcuni libri del NT non siano applicabili ai Cristiani di oggi, perché erano indirizzati a quelli che erano etnicamente Giudei. Solo pochi anni fa, ho ascoltato un pastore Dispensazionalista dire a Natale, “Il problema con i Vangeli è che il Vangelo non è i Vangeli.”

Le Scritture stesse, tuttavia, confutano queste convinzioni. L’Apostolo Paolo in 2 Cor. 3.12-18 definisce il “Vecchio Patto” come Mosè, ovvero, in modo generico i libri di Mosè e più particolarmente le leggi Mosaiche (vv. 14-15). In Ebrei 7.22, Gesù è il garante di un patto migliore di quello che fu dato agli Israeliti. In 8.6-13, contrapponendo il Nuovo Patto al Vecchio, il Vecchio Patto viene ristretto all’epoca Mosaica della storia della salvezza. Anche in 9.15-20 si fa la medesima distinzione. Così, parlando in senso stretto, il Vecchio Patto descrive il patto che Dio fece con Israele al Sinai. Dunque, non tutto ciò che avvenne nella storia della salvezza prima dell’incarnazione appartiene al Vecchio Patto. Questo è importante, perché il Vecchio Patto viene descritto come “inferiore” (Ebr. 8.7), “obsoleto”, “invecchiato” (8.13) e la sua gloria sta “tramontando.”

In questa connessione, l’altro fatto importante da notare riguardo al Vecchio Patto è che esso fu intenzionalmente temporaneo e tipologico. Colossesi 2.17 descrive le leggi cerimoniali Mosaiche (il Vecchio Patto) come “ombre” delle cose a venire. Ebrei 8.5 descrive il Tempio terreno come un “tipo ed ombra” del tempio celeste. La Legge Mosaica stessa fu solo “un’ombra” del compimento che venne con Cristo.

Il Nuovo Patto

Con la morte, risurrezione ed ascensione di Cristo, la promessa che Dio fece ad Adamo e ribadì ad Abrahamo rimane, ma le circostanze sono cambiate. Noi che viviamo da questo lato della croce vediamo le cose in modo differente perché viviamo nei giorni del compimento. In termini biblici, noi viviamo negli “ultimi giorni” (2 Pie. 3.3; Gm. 5.3; Ebr. 1.2; At. 2.17).

L’intera funzione del Vecchio Patto era di indirizzare l’attenzione in alto verso le realtà celesti (Eso. 25.9; At. 7.44; Ebr. 8.5) e avanti nella storia al sacrificio di Gesù sulla croce. I vecchi segni, la Pasqua e la circoncisione, insieme agli altri sacrifici di sangue e alle cerimonie, sono stati sostituiti. Tuttavia noi viviamo ancora in una relazione di patto con Dio, e le immagini di sangue di Cristo sono state sostituite con segni (promemoria) e sigilli.

Proprio come Dio fece un patto con Abrahamo, promise anche un Nuovo Patto che sarebbe venuto in seguito (Ger. 31.31). Egli fece questo Nuovo Patto nel sangue del Signore Gesù Cristo (Lu. 22.20). Il Signore Gesù stabilì “il Nuovo Patto” consapevolmente e specificamente. L’Apostolo Paolo disse di essere “un ministro del nuovo patto” (2 Cor. 3.6). Come può essere se non vi è che un solo Patto di Grazia? Il Nuovo Patto è nuovo in contrapposizione a Mosè, non ad Abrahamo.

Questo è il senso di Galati 3.1-29; 4:21-31, e 2 Cor. 3.7-18, dove Paolo dice che la gloria del Vecchio Patto sta passando, ma la gloria del Nuovo Patto è permanente. Il messaggio dei capitoli 3-10 di Ebrei è che il Vecchio Patto (sotto Mosè) era preparatorio del Nuovo Patto. Il tema fondamentale di Ebrei 11 è che Abrahamo aveva la fede del Nuovo Patto, ovvero, egli anticipava la città celeste e la redenzione che noi abbiamo in Cristo (Ebr. 11.10).

LA DEFINIZIONE DI ISRAELE

Giacobbe Ho Amato

Vi era quindi un’Israele anche prima del Vecchio Patto. Israele era il nome dato a Giacobbe. La prima volta che la parola “Israele” compare nella Scrittura alla conclusione della storia della lotta di Giacobbe (Gen. 32.21-30).

Dopo aver trascorso la notte a lottare con un uomo anonimo, e “quando l’uomo vide che non lo poteva vincere” (v. 25), Giacobbe gli chiese una benedizione. In risposta, il lottatore rinominò Giacobbe come Israele, che egli definì come “lotta con Dio e con gli uomini.”

Così, nella storia della salvezza, tutti quelli che discendono dal Patriarca Giacobbe sono, in senso ampio, “Israele.” Solo due capitoli dopo il termine “Israele” è usato per descrivere il luogo e il nome dei figli di Abrahamo, Isacco e Giacobbe (34.7). A Paddam Aram, Dio nuovamente benedisse e nominò Giacobbe “Israele” (35.9-10) e rinnovò la promesse Abramica di essere Dio di Abrahamo e dei suoi figli.

Tutto questo sembrerebbe supportare la nozione che Israele significhi “quelli fisicamente discesi da Giacobbe.” Eccetto che Giacobbe non è il principio della storia. Prima che vi fosse un’Israele, c’era Abrahamo e il suo figlio del miracolo, Isacco (Rom. 9), e prima di Abrahamo, Gesù dice, “IO SONO” (Gv. 8.58). Fu ad Abrahamo che Dio promise, “Io sarò il tuo Dio, e voi sarete il mio popolo.” Infatti, Gesù insegnò ai Giudei in Gv. 8 che fu lui a fare la promessa ad Abrahamo (Gv. 8.56). Ricordate pure che la prima realizzazione di quella promessa non venne “dalla volontà dell’uomo,” ma dalla potenza sovrana di Dio, quando consentì che Sarah concepisse nella sua tarda età. Questi saranno fatti importanti da ricordare quando giungeremo alla risposta di Paolo alla domanda, chi è l’Israele di Dio?

Israele Mio Figlio

Nell’Esodo dall’Egitto, Dio costituì i figli di Giacobbe collettivamente come il suo “figlio.”

“Perciò io ti dico: Lascia andare il mio figlio, affinché mi serva; ma se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco io ucciderò il tuo figlio, il tuo primogenito».”
(Es0. 4.23)

Questo non è un discorso superficiale, ma una descrizione ben deliberata del popolo nazionale. I figli di Giacobbe non sono il Figlio di Dio per natura, ma, come dire, per adozione. Mosè nega che in Israele vi fosse una qualunque qualità intrinseca tale da rendere i figli di Giacobbe degni di essere chiamati il popolo di Dio.

“L’Eterno non ha riposto il suo amore su di voi né vi ha scelto, perché eravate più numerosi di alcun altro popolo; eravate infatti il più piccolo di tutti i popoli; ma perché l’Eterno vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, l’Eterno vi ha fatto uscire con mano potente e vi ha riscattati dalla casa di schiavitù, dalla mano del Faraone, re d’Egitto.” (Deu. 7.7-8)

Secondo questo passo, vi sono due ragioni per cui Dio scelse Israele, il Suo amore immeritato e la promessa del Suo patto con Abrahamo.

Israele Sviato

Israele non era, tuttavia, il figlio naturale di Dio. Questo era evidente nel deserto, in Canaan e infine nell’espulsione quando Dio cambiò il nome di suo “figlio” Israele in “Lo Ammi, non il mio popolo” (Os. 1.9-10)

Dio diseredò il suo adottivo, temporaneo, “figlio” Israele come un popolo nazionale precisamente perché Dio non intese mai avere un popolo permanente, terreno e nazionale. Dopo la cattività, essi avevano ampiamente adempiuto al loro ruolo nella storia della salvezza. Come segno di questo patto, lo Spirito di Gloria abbandonò il tempio. Questo perché la loro funzione principale era di servire come un tipo e un’ombra del Figlio naturale di Dio, Gesù il Messia (Ebr. 10.1-4).

Gesù l’Israele di Dio

Il tema di questo saggio è che Gesù Cristo è il vero Israele di Dio e che chiunque sia unito a lui per la sola grazia, mediante la sola fede, diviene, in virtù di quell’unione, il vero Israele di Dio. Questo significa che è male indirizzato chi cerca, aspetta e spera o desidera una ricostituzione dell’Israele nazionale in futuro. La chiesa del Nuovo Patto non è qualcosa che Dio ha istituito finché Egli fosse in grado di ricreare un popolo nazionale in Palestina, ma piuttosto, Dio ebbe un popolo nazionale solo temporaneamente (da Mosè a Cristo) come preludio e prefigurazione della creazione del Nuovo Patto, nel quale le distinzioni etniche che esistevano sotto Mosè sono state adempiute e abolite ( Efe. 2.11-22; Col. 2.8; 3. 11).

Matteo 2.15

Nelle Scritture Ebraiche l’espressione “fuori dall’Egitto” ricorre più di 140 volte. È uno dei fatti che definiscono l’esistenza dell’Israele nazionale. Quando Dio diede la Legge disse, “Io sono Yahweh tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto.” Essi erano un popolo redento appartenente al loro Salvatore.

È molto significativo quando Matteo 2.14-15 cita Osea 11.1. La Scrittura dice,

“Egli dunque, destatosi, prese il bambino e sua madre di notte, e si rifugiò in Egitto. E rimase là fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta, che dice: «Ho chiamato il mio figlio fuori dall’Egitto».”

Erode stava per dare sfogo alla sua rabbia sanguinosa contro i primogeniti dei Giudei. L’interpretazione ispirata di Matteo delle Scritture Ebraiche deve guidare la nostra interpretazione della Scrittura e secondo l’interpretazione di Matteo, il vero Israele di Dio è nostro Signore Gesù, non il popolo nazionale e temporaneo. Infatti non è eccessivo dire che l’unica ragione per cui Dio predispose il primo Esodo fu allo scopo di poter predisporre il secondo Esodo e che così noi potessimo sapere che Gesù è il vero Figlio di Dio e che tutti i Cristiani sono l’Israele di Dio senza riguardo all’etnia.

È proprio perché Gesù è il vero Israele di Dio che egli, nella sua infanzia e in effetti in tutta la sua vita, riassunse la storia dell’Israele nazionale. Ciò che la ribelle Israele nazionale non volle fare, Gesù lo realizzò: Egli amò Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutta la sua mente e con ogni sua forza, e il suo prossimo come sé stesso (Mat. 22.37-40).

Galati 3.16

In modo simile, l’Apostolo Paolo sostiene molto chiaramente che le promesse fatte ad Abrahamo furono compiute in Cristo. Gal. 3.16 dice,

“Ora le promesse furono fatte ad Abrahamo e alla sua discendenza. La Scrittura non dice: «E alle discendenze» come se si trattasse di molte, ma come di una sola: «E alla tua discendenza», cioè Cristo.”

Paolo spiega cosa intende. Le promesse date ad Abrahamo erano promesse evangeliche del Nuovo Testamento. Esse furono date prima di Mosè e furono adempiute in Cristo. Gesù è il vero Figlio di Abrahamo, lui è “la discendenza” promessa ad Abrahamo.

Il fine della Legge data a Mosè era di insegnare all’Israele nazionale e a noi la grandezza del nostro peccato e della nostra miseria (Gal. 3.22). La Legge amministrata attraverso Mosè non modificò fondamentalmente la promessa evangelica fatta ad Abrahamo (3.17-20). Il Nuovo Patto non è altro che l’adempimento e il rinnovo del Patto Abrahamico, e il Patto Abrahamico non era altro che l’adempimento e il rinnovo del patto di grazia fatto con Adamo dopo la caduta.

Gesù il Salvatore d’Israele

Atti 13.23

Parte della confusione che circonda il piano di Dio nella storia, e quindi parte della ragione per cui i Cristiani sono così confusi riguardo ai piani di Dio per il futuro del suo popolo, è che molti fraintendono ciò che Gesù venne a compiere per l’Israele nazionale. Egli non venne per stabilire un regno Giudaico nazionale e terreno, ma venne per essere il loro Salvatore e il Salvatore di tutto il popolo di Dio, sia Giudeo che Gentile.

Nostro Signore, prima che s’incarnasse, definiva sé stesso ad Israele, attraverso il Profeta Isaia (43.3), come “il Santo d’Israele,” il loro “Salvatore.” Questo era lo stesso concetto che l’Apostolo Pietro espresse nel suo grande sermone di Pentecoste, che Davide non è il Re, poiché è morto. Gesù, poiché vive, è il Re ed era riguardo a Gesù il Re asceso che Davide profetizzava (At. 2.19-34).

Successivamente, in un altro sermone, Pietro disse che Dio ha ora “esaltato” Gesù “con la sua destra e lo ha fatto principe e salvatore per dare ad Israele ravvedimento e perdono dei peccati” (At. 5.31).

I Figli di Abrahamo

In questo contesto, siamo nella posizione di rispondere alle domande, “Chi sono i figli di Abrahamo?” e “Chi è l’Israele di Dio?” Gesù disse,

“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato. E colui che mi ha mandato è con me; il Padre non mi ha lasciato solo, perché faccio continuamente le cose che gli piacciono.”

Continuò dicendo “Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; 32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. A questo essi rispondono ricordando di essere discesi fisicamente da Abrahamo (v. 33).

A questo Gesù risponde, “Se foste figli di Abrahamo, fareste le opere di Abrahamo” (v. 39). Questa, dunque, è la definizione di Nostro Signore di un figlio di Abrahamo, un Giudeo, o Israele: Colui che fa le cose che fece Abrahamo. Che cosa fece Abrahamo? Secondo Gesù, “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (v. 56). Secondo Gesù il Messia, un Giudeo, un vero Israelita, è colui che ha fede salvifica nel Signore Gesù prima o dopo l’incarnazione. Questa è solo un’altra maniera di dire che Gesù è “la via, la verità e la vita” e che “nessuno viene al Padre” se non attraverso di lui (Gv. 14.6). Questo verso si applica ad Abrahamo, ad Isacco e a Giacobbe più che a chiunque altro.

Quindi, non dovrebbe sorprenderci di ritrovare sostanzialmente lo stesso insegnamento nella teologia dell’Apostolo Paolo. In Romani 4, Paolo dice che si è giustificati nella stessa maniera in cui Abrahamo fu giustificato, per sola grazia, mediante la fede in Gesù soltanto (Rom. 4.3-8).

Cosa ne è dei Gentili dunque? Paolo chiede, “In che modo dunque gli fu imputata? Mentre egli era circonciso o incirconciso? Non mentre era circonciso, ma quando era incirconciso.” (Rom. 4.10).

“Affinché fosse il padre di tutti quelli che credono anche se incirconcisi, affinché anche a loro sia imputata la giustizia, e fosse il padre dei veri circoncisi, di quelli cioè che non solo sono circoncisi ma che seguono anche le orme della fede del nostro padre Abrahamo, che egli ebbe mentre era incirconciso.” (Rom. 4.11-12)

Di conseguenza, queste due domande sono assolutamente connesse. La giustizia innanzi a Dio “deriva dalla fede” (Rom 4.16), non dal rispetto della legge, né dall’essere fisicamente o etnicamente Giudeo,

“in tal modo essa è per grazia, affinché la promessa sia assicurata a tutta la progenie, non solamente a quella che è dalla legge, ma anche a quella che deriva dalla fede di Abrahamo, il quale … è padre di tutti noi” (Rom. 4.16)

Tutto questo è così perché, come ha detto in Romani capitolo 2,

“Giudeo è colui che lo è interiormente, e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, e non nella lettera…“ (Rom. 2.29).

Cristo non venne per restaurare e sanare la teocrazia Mosaica o per stabilire un regno milleniale Giudaico terreno, ma per salvare i peccatori Giudei e Gentili e per renderli, per sola grazia, mediante la sola fede, in Cristo soltanto, i figli di Abrahamo.

Il Muro di Separazione Demolito (Efesini 2.11-22)

Il progresso della storia della redenzione segue quest’ordine: Il popolo di Dio fu un popolo internazionale da Adamo a Noè a Mosè; sotto Mosè, il popolo di Dio divenne temporaneamente un popolo nazionale. Dio istituì delle speciali leggi civili e cerimoniali per separare il suo popolo nazionale dai Gentili pagani. In Efesini 2.14, l’Apostolo Paolo descrive queste leggi civili e cerimoniali come un “muro di separazione” tra Giudeo e Gentile. A causa di quel muro di separazione, i Gentili, considerati come un popolo, erano “senza Cristo, estranei dalla cittadinanza d’Israele e estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo” (Ef. 2.12).

Ora, tuttavia, a motivo della morte di Cristo, Paolo rassicura i Cristiani Gentili che “voi che un tempo eravate lontani, siete stati avvicinati per mezzo del sangue di Cristo.” (v. 13). In che modo? Mediante la sua morte, Cristo ha abbattuto il muro di separazione, strappato il velo del tempio, distrutto il tempio e ricostruito in tre giorni mediante la sua risurrezione (Gv. 2.19).

“avendo abolito nella sua carne l’inimicizia, la legge dei comandamenti fatta di prescrizioni, per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16 e per riconciliare a ambedue con Dio in un sol corpo per mezzo della croce, avendo ucciso l’inimicizia in se stesso…” (Ef. 2.15-16)

Ora, in virtù della nostra unione con Cristo, noi Cristiani sia Giudei che Gentili siamo “concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (Ef. 2.19); “I veri circoncisi infatti siamo noi che serviamo Dio nello Spirito e ci gloriamo in Cristo Gesù senza confidarci nella carne” (Fil. 3.3). Perché? Perché “…La nostra cittadinanza infatti è nei cieli” (Fil. 3.20). Come può il Premillenarismo, che ha due popoli di Dio paralleli, non ricostruire quello stesso muro di separazione che Gesù demolì con la sua morte?

Non Tutta Israele è Israele

Uno dei passi della Scrittura più chiari su questo argomento è Romani capitolo 9. Il contesto è proprio la domanda che stiamo affrontando adesso, che fare di Israele? Chi è l’Israele di Dio? Dio ha abbandonato la sua promessa ad Abrahamo? La risposta di Paolo è, un Giudeo è colui che è Giudeo internamente, che ama il Salvatore di Abrahamo. Poiché Gesù fu circonciso (Col. 2.11-12) per noi sulla croce, la circoncisione è moralmente e spiritualmente indifferente.

“Non è che la parola di Dio sia caduta a terra” (Romani 9.6). La ragione per cui solo alcuni dei Giudei avevano creduto che Gesù fosse il Messia è che “non tutti quelli che sono d’Israele sono Israele. E neppure perché sono progenie di Abrahamo sono tutti figli.” Piuttosto, i figli di Abrahamo sono nominati “in Isacco” (9.7). Questo significa che “non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come progenie” (v. 8). In che modo nacque Isacco? Per la potenza sovrana di Dio. In che modo nascono i Cristiani? Per la potenza sovrana di Dio. Ogni Cristiano è un “Isacco” a modo suo. Perché è così? Perché,

“Quando non erano ancora nati i figli e non avevano fatto bene o male alcuno, affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio secondo l’elezione e non a motivo delle opere, ma per colui che chiama), le fu detto: «Il maggiore servirà al minore», come sta scritto: «Io ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù».” (Mal. 1.2; Rom. 9.11-13)

Come può essere questo? È perché Dio “dice infatti a Mosè: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia, e avrò compassione di chi avrò compassione»” (9.15).

“Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. Dice infatti la Scrittura al Faraone: «Proprio per questo ti ho suscitato, per mostrare in te la mia potenza e affinché il mio nome sia proclamato in tutta la terra». Così egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole.“ (9.16-18)”

Dio è ingiusto? Secondo l’Apostolo Paolo, come creature, noi non abbiamo alcun “diritto” innanzi a Dio. Dio è il vasaio, noi siamo l’argilla, ma i Cristiani sono argilla redenta, oggetto di misericordia, preparati in precedenza per la gloria. Noi dobbiamo valutare la nostra condizione contro lo sfondo della pazienza di Dio con quegli oggetti d’ira preparati per la distruzione (Rom. 9.22-23). Questi vasi preparati per la gloria sono presi tanto dai Giudei che dai Gentili (Rom. 9.24). Questo è ciò che promise in Osea, ha reso coloro che erano un tempo “Lo Ammi,” “Non il mio popolo,” ovvero i Gentili, i “figli del Dio vivente” (Os. 2.23; 1.10; Rom. 9.25-26).

La ragione per cui i Gentili senza legge hanno “ottenuto la rettitudine,” e per cui Israele che la cercava mediante la legge non l’ha ottenuta, è che la giustificazione non è per opere, ma per grazia (Rom. 9.32). Essi inciamparono su Gesù, la roccia di scandalo. Egli non si adattava ai loro piani nazionalistici e, suggerisco io, neanche ai piani nazionalistici/Sionisti del Premillenarismo.

Non è che Paolo non desideri la salvezza dei Giudei, ma al contrario dice di volere che i Giudei siano salvati, e l’unico modo in cui un discendente fisico di Abrahamo, di Isacco e di Giacobbe può divenire un vero Israelita, è di essere unito al vero Israele di Dio, Gesù, per fede. “Poiché non c’è distinzione fra il Giudeo e il Greco, perché uno stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato».” (Rom. 10.12). “Non tutti gli Israeliti hanno ubbidito all’evangelo.”

Dio ha rigettato il suo popolo? No, gli eletti sono il suo popolo e tutti gli eletti saranno salvati. Vi sono Giudei credenti. Paolo usa sé stesso come un esempio (Rom. 11.1). Egli è parte di quel residuo eletto che non ha piegato il ginocchio davanti a Baal. “Così dunque, anche nel tempo presente è stato lasciato un residuo secondo l’elezione della grazia. E se è per grazia, non è più per opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia” (Rom. 11.5). Ciò che Israele cercò così scrupolosamente non l’ha ottenuto, ma gli eletti l’hanno ottenuto. Gli altri sono stati induriti.

L’elezione di Dio di alcuni e la riprovazione di altri sono realtà gemelle della storia della redenzione, che Paolo adduce per affrontare la domanda “Chi è l’Israele di Dio?” Egli insegna ripetutamente: La salvezza è per sola grazia, per mezzo della sola fede in Cristo soltanto; e “Israele non ha ottenuto quello che cercava, ma gli eletti l’hanno ottenuto, e gli altri sono stati induriti…” (11.7).

Dio ha smesso di salvare i Giudei? Nient’affatto. La salvezza è giunta ai Gentili “per provocare Israele a gelosia” (11.11). I Gentili, per l’immeritato favore di Dio, sono stati innestati nell’Israele di Dio. “Ad Israele è avvenuto un indurimento parziale finché sarà entrata la pienezza dei gentili, e così tutto Israele sarà salvato” (11.25-26).

I Cristiani sono l’Israele di Dio in Cristo

Galati 6.16

In questo contesto, non dovrebbe affatto sorprenderci che gli Apostoli chiamino sia i Giudei che i Gentili “l’Israele di Dio.” Questo è il linguaggio di Paolo alla congregazione mista dei Galati.

1 Pietro 2.9-10

L’Apostolo Pietro usa lo stesso genere di linguaggio per descrivere le congregazioni dell’Asia Minore, composte principalmente da Gentili, alle quali scriveva, dicendo, “un tempo non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.”

Ebrei 8.8-10

Secondo l’autore di Ebrei, coloro che invocano il nome di Cristo sono “la Casa d’Israele.” Chiunque abbia riposto la propria fiducia in Cristo è un erede delle promesse del Nuovo Patto.

Conclusione

Il Dio di Abrahamo, di Isacco e di Giacobbe ama i Giudei? Si. Ha un piano per i Giudei? Si, è lo stesso piano che Egli promise ad Adamo, il seme della Donna, lo stesso piano che Egli promise ad Abrahamo, “la Discendenza.” Quella discendenza è una sola: Cristo. Egli è il Santo d’Israele, l’Israele di Dio. Egli fece ciò Adamo non riuscì a fare. Egli fece ciò che il caparbio Israele non volle e non poté fare. Egli servì il Signore con tutto il suo cuore, tutta la sua anima, tutta la sua mente e forza.

La maggior parte dei Giudei, tuttavia, non stava cercando un Salvatore. Essi cercavano un re. Gesù è Re, ma ha guadagnato il suo trono con la sua obbedienza e con la sua morte, e questo non è ciò che essi volevano. Essi volevano gloria, potere, e un regno politico, teocratico, di questo mondo. Gesù ha stabilito il suo regno mediante la predicazione del Vangelo e l’amministrazione dei sacramenti. Questo regno potrà non essere eccitante come governare da Gerusalemme durante un’età dell’oro terrena, potrà non vendere molti libri o riempire le poltrone dei cinema, ma il mondo non ha mai trovato il Gesù della Scrittura molto interessante, e questo è il motivo per cui egli è la roccia d’inciampo per i Giudei Sionisti e una pazzia per i Greci. Per i Cristiani, tuttavia, egli è il Cristo, “la potenza e la sapienza di Dio” (1 Corinzi 1.24).

*Sentiti ringraziamenti a Mr. Hugh McCann, MA (Westminster Theological Seminary in California) per la sua assistenza editoriale in questo e in altri saggi.

    Post authored by:

  • R. Scott Clark
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    R.Scott Clark is the President of the Heidelberg Reformation Association, the author and editor of, and contributor to several books and the author of many articles. He has taught church history and historical theology since 1997 at Westminster Seminary California. He has also taught at Wheaton College, Reformed Theological Seminary, and Concordia University. He has hosted the Heidelblog since 2007.

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